Svegliarsi a Parigi, al Plaza Athénée

PARTE 7

Mentre leggi, puoi provare a tenere QUESTA CANZONE di sottofondo

Le colline dietro casa mia sono sempre state il mio rifugio. Fin da bambino ho amato il verde che mi circonda. Campi, viti, erba fresca… Eppure, il fascino della metropoli è per me altrettanto ammaliante, con il suo stile, la sua effervescenza, le sue irresistibili contraddizioni. Sono diviso, lo sono sempre stato.

Poi un giorno è successo. Ma prima o poi deve sempre succedere.

I miei due mondi si sono incontrati.

Avevo una bella strada davanti a me. Dritta, sicura, moderna, un baluardo di civiltà. Quel giorno per me era semplicemente simbolo del mio quotidiano tran tran. Sfreccio con il mio bolide, un’utilitaria che ero riuscito a comprare con i risparmi di indefesso lavoratore.

Natura e civiltà in Franciacorta
Natura e civiltà in Franciacorta (Credits: Fabio Ingrosso, Wikimedia Commons)

 

Ed eccola lì: la natura, il prato, l’erba del fosso che invadono la mia strada. Una colata verde si insinua prepotente sotto le mie ruote. Nessun incontro è senza conseguenze. Quelle cha ha avuto su di me lo scontro di quel giorno i giornalisti le riassumeranno con “stato confusionale”. Vedo delle persone che mi circondano. So cosa è successo, ma non so cosa è successo. È strana questa lucida incoscienza che classicamente accompagna tutti i momenti in cui cominci a guardarti dall’esterno.

In questo caso, però, non ero io a guardarmi dall’esterno, né a volare verso una luce bianca. Erano gli altri che riuscivo a vedere dall’esterno. Li avevo lì davanti a me, avvolti dalle loro paure, rabbie, incomprensioni; mi ronzavano intorno come api impazzite, infagottati nelle loro passioni. Questo scontro era ben più di un rimescolamento di luoghi. Ora vedo chi sono gli altri, e la cosa assurda è che più riesco a vederli dall’esterno, più riesco a provare quell’empatia razionale che è l’unica capace di parlare dritta al cuore.

“Ed è così che sei sbarcato qui a Parigi?”

“No, no. Quello è successo dopo. Ma è un’altra lunga storia, caro Patrick! Non so se te la racconterò oggi…”

“Oh, mais quel dommage! Adoro i racconti, e nonostante il tuo brio, apprezzo la pacata serenità delle tue parole, mon cher Monsieur Cristian

“Vuoi dire Mademoiseau!”

“Ma certo! E tu caro Alain, hai mai avuto un’esperienza tanto profonda?”

Et bien, Patrick, in realtà mi trovi davvero senza parole”.

“Alain, sono contento che il mio racconto faccia questo effetto, così posso parlare un po’ di più io”.

Patrick Demarchelier
Patrick Demarchelier (Credits: Lucie Foundation, https://vimeo.com/53997024)

“Invece ti interrompo subito, caro Mademoiseau, perché quello che hai detto stuzzica il mio lato filosofico. Dopo anni di carriera nel mondo della moda posso dirti che percepire e accettare la propria duplicità ti fa onore. Per esempio. Prendi una fotografia a colori. E poi prendine una in bianco e nero. L’euforia del colore è innegabile, ma il bianco e nero è di un suggestivo altrimenti inarrivabile. Ebbene, se dovessi un giorno scegliere solo il colore o solo il bianco e nero, potresti senz’altro raggiungere elevatissimi livelli artistici, ma dovresti rinunciare a una delle due caratteristiche. Allora prova a combinarli. Scegli i colori che vuoi esaltare, e il resto lascialo in bianco e nero”.

Incalza: “Oppure prendi una bellezza sopraffina, falle credere che ancora non stai scattando nulla e cogli un momento raro e originale, lontano da quello che si pensa sia il modo di fotografare una bellezza statuaria. È fondamentale smarcarsi, viaggiare fuori dai sentieri battuti. Il risultato del contrasto non sarà più l’estetica, ma l’arte”.

Au musée Petit Palais - Exposition Patrick
Au musée Petit Palais – Exposition Patrick Demarchelier (Credits: Raphaël Labbé, Wikimedia Commons)

Mademoiseau si inserisce: “Oppure prendi un cuoco, pluristellato perdinci, e mettilo a capo di una holding della ristorazione”. Strizza l’occhio al terzo interlocutore, quello che era rimasto senza parole, che ora si sente costretto a una replica.

Alain Ducasse
Alain Ducasse (Credis: Wikialainducasse, Wikimedia Commons)

“Capisco perfettamente il tuo punto e non puoi che trovarmi d’accordo. Adoro cucinare, ma amo altrettanto questo mio ruolo di uomo d’affari, di regista, di ‘oliatore’ di questo grandissimo meccanismo di cui ho la responsabilità”.

“E noi siamo tutti contentissimi del tuo ruolo, visto che ci permette di gustarci un pranzo divino al tuo Plaza Athénée. Ora però spiegaci, qual è il b.a-ba della tua cucina? Svelaci le tue basi per diventare ottimi cuochi! In fondo anche un fotografo come Demarchelier si è appena sbottonato con qualche trucchetto, non vorrai essere da meno…”

Avenue Montaigne 23, Hôtel Plaza Athénée
Avenue Montaigne 23, Hôtel Plaza Athénée (Credits: Alexander Baranov, Wikimedia Commons)

“Caro Mademoiseau, tu sì che ci conosci: un fotografo lo conquisti lasciandolo parlare della sua tecnica, e uno chef istigando il suo senso di competizione. Non male. Ad ogni modo, non ho segreti ed è tutto molto semplice: la cucina è sapere che cos’ho e cosa so e poi decidere cosa faccio. Tutto qui”.

“Il tuo segreto deve essere un altro, perché credo che queste domande se le ponga qualsiasi mamma del mondo”, si lamenta il fotografo.

“E non sono forse le prime stelle in cucina?” si difende lo chef.

Seguono alcuni minuti di quel silenzio pieno, senza imbarazzo; quel silenzio che serve per lasciare spazio ai pensieri e per far entrare i luoghi nella memoria. E il Plaza Athnée è uno di quei luoghi che non puoi non degnare di almeno un lungo silenzio pieno di attenzione.

Alain Ducasse au Plaza Athénée
Alain Ducasse au Plaza Athénée (Credits: Leticia Bittencourt Cozinha Vibrante, Flickr)

Saziato lo sguardo e lo spirito, si può ritornare al quotidiano.

“Non dimenticare Patrick di dire alla tua cara moglie che sarei felice di accompagnarla nuovamente per un giro di shopping, so che non è il tuo debole e mi fa piacere cavarti d’impiccio!”

“Sarà con grande piacere, mon cher Mademoiseau”.

“Bene, allora se volete scusarmi ho un impegno qui di fronte. Una cara amica, non dico ‘vecchia’ perché si potrebbe arrabbiare, mi aspetta per il tè”.

Al congedarsi di uno, anche gli altri due rompono le fila. Uscendo dal Plaza Athénee, eccolo attraversare la strada e penetrare nel palazzo di fronte: il civico 12 di Avenue Montaigne.

La giornalista di moda Marie-Jacques Perrier durante una cena in onore del designer Charles Jourdan. Hotel Plaza Athénée nel 1962
La giornalista di moda Marie-Jacques Perrier durante una cena in onore del designer Charles Jourdan. Hotel Plaza Athénée nel 1962. (Fonte: Archives of Marie-Jacques Perrier. Credits:
Robert Perrier, wikimedia Commons)

[Rendez-vous lunedì prossimo per la Parte 8, e lunedì scorso per la Parte 6]