Svegliarsi a Parigi, da Marlene Dietrich

Parte 6

Le lunghissime gambe che hanno contribuito alla sua fama (anche per il fatto che sono state le prime della storia a essere assicurate) se ne stanno ora rannicchiate su una sedia a rotelle. Lo sfogo di Marlene dura poco. La forza dello spirito non è seguita da quella del corpo. La volontà e il rigore prussiano hanno forgiato questa statua granitica, come se fosse composta non da carne ma da una miscela di marmo e magnetite. Fredda, resistente, di una tempra ferrea che neanche gli spinaci di Popeye, ma dalle venature irresistibilmente affascinanti. Come una calamita, attrae anche se non la vedi. Nelle sopracciglia paraboidali c’è tutta la malinconia alla Pierrot di una donna che ha dovuto lottare con il nazismo, la languidezza di chi è von Kopf bis Fuß auf Liebe eingestellt, mentre nelle mani e nel collo i movimenti sono di una vera artista che ha trovato la libertà. Esternamente negli Stati Uniti, internamente in uno stile di vita cucito su misura.

Ciascuna ruga è il risultato di un’emozione ripetuta. E su questo viso le emozioni non sono mancate. “Ah, divento vecchia!”

Sento avvicinarsi una voce che proviene da un’altra stanza. “Ma smettila di dire scemenze! Dai, aspetta che arrivo col tè e ci facciamo una bella foto!”

Cristian Gottardi Mademoiseau

Biondo, alto, flessuoso: un ragazzo con pantaloni neri e camicia bianca entra nella stanza spingendo la porta con la schiena per aprirla e ruotare verso di noi con il vassoio del tè in bilico tra le mani.

“Ma non ci credo…”

“Lauretta? Oh che bello che sei qui anche tu!”

“Ma Cristian, ma… da dove vieni?”

“Dalla cucina! Spetta spetta che poggio qui e ti abbraccio”.

Marlene è sconcertata, e un po’ gelosa, anche perché non siamo nemmeno state presentate. Si sistema sulla sedia allungando la schiena e il collo, spinge il mento verso il petto, arriccia le labbra e gli occhi mi guardano dritta.

“Ecco, Maria, mi porti sempre qui gente raccattata in giro, e guarda cosa succede. Il mio tè diventerà freddo”. Tutto questo lo dice senza mai mollare il mio sguardo.

Maria ci prova: “Era caduta per terra qui sotto, non la potevo lasciare”.

Io intanto mi sono fermata un secondo prima di avvicinarmi all’amico ritrovato, e mi faccio avanti.

“Chiedo scusa dell’intrusione…”

Cristian rompe il gelo: “Dai tatina Marlene, non preoccuparti, il tuo tè è qui pronto! Il mondo è tanto piccolo, questa è Laura, una mia vecchia compagna di università!”

Laura e Cristian Laurea

Tuoni e saette:

“Parola di Marlene, prova a introdurre me come una ‘vecchia’ qualcosa e fai una brutta fine!”

Gira lo sguardo impettita, ma scioglie la rabbia languidamente e con un’occhiata leziosa accenna un sorriso, come se sapesse di dover aspettare delle scuse, ma non abbia alcuna voglia di attendere per perdonare. Come si fosse ricordata in un istante che il tempo è troppo prezioso, ma che vale sempre la pena di rispolverare le proprie doti istrioniche.

“Ah, caro, non potrei mai tenerti il muso. In fondo non sono una paurosa della vecchiaia, come la mia Greta. E poi un’amica tua è anche un’amica mia. Grazie Maria che l’hai portata da noi, ritiratevi pure nell’altra stanza con la mia assistente. Laura, giusto? Bene, si faccia risistemare quello che si è rotta e poi torni qui per un tè”.

 

Annuisco con un sorriso che spero sia abbastanza cordiale da farle capire che le sono grata senza dover aprire bocca. Cristian mi accompagna velocemente alla porta e interpreta perfettamente il mio sguardo stupito, così si gira dando le spalle alla diva e sussurrando mi risponde: “È una vecchia amica, stai tranquilla, ha un cuore di krapfen, ma anche un polso di granito”.

Spero solo che lei non l’abbia sentito chiamarla “vecchia”…

Vengo ricucita e risistemata con un lavoro a quattro mani di assistente e figlia. Mi sembra stranissimo che a gravitare intorno a un personaggio tanto duro ci siano queste due donne invece tanto materne. Ogni gesto è pieno di cura. Si vede in ogni caso che sono state abituate alla delicatezza. Quella altruista dell’infermiera, che sa diventare durezza quando il movimento lo richiede, non quella molle di chi non sa dove mettere le mani. Per una delle due, bè, è il suo mestiere. Per l’altra… in fondo è anche per Maria un mestiere. Quello di figlia di una diva.

Quanto a me, non vedo l’ora che finiscano di fasciare. Voglio prendere questo famoso tè, magari dormire e poi riprendere il mio viaggio. Sempre che riesca a tornare da dove ero partita.

Boulevard der Stars, Berlino Marlene Dietrich
Boulevard der Stars, Berlino
Credits: Times (Wikimedia Commons)

[Rendez-vous lunedì prossimo per la Parte 7, e lunedì scorso per la Parte 5]