Svegliarsi a Parigi, al Sacre du Printemps

PARTE 4

Una donna straordinaria è vicino a me, e io ho un’altra splendida occasione per dimostrare quanto sono brava ad avere la mente vuota nei momenti meno opportuni.

Lascio perdere le domande e mi abbandono alla malia dello spettacolo. Nonostante ci siano oltre una cinquantina di strumenti nella fossa, non riesco a sentire la melodia col baccano del pubblico riottoso. I movimenti scomposti di ballerini non offrono alcun indizio.

Poi capisco qualche nota, e ha uno strano sapore d’infanzia. “Ma questa è della Disney!”

 

 

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Il pubblico ammutolisce. Ho urlato troppo forte? Boato di risa. Devono aver preso la mia uscita per un insulto che non hanno capito. Io ero seria. Questa musica mi ricorda irrimediabilmente un cartone Disney. Devo interrompere Coco.

“Madame Chanel…”

“Come sa il mio cognome?” La voce è stridula come se fosse uscita da un lungo sogno.

“Lei è molto famosa dal posto in cui vengo…”

“Ce la rimando anche, nel posto da cui viene, se non mi lascia guardare in pace!”

Madame, la prego, mi dica che spettacolo è!”

Innervosita decide di rispondere, forse perché è l’unico modo per farmi stare buona.

“Stravinsky. Un genio. Stasera è nata una nuova musica, mia cara”.

“E il balletto? È talmente inquietante da essere… catartico”.

“Hai scelto l’aggettivo giusto. Sublima le nostre paure. Ci porta verso un mondo tanto lontano nel tempo ma tanto vicino alla nostra natura più intima. Siamo tutti noi in un momento di razionale follia collettiva…”

Dalla mia faccia capisce che è lì lì per essere presa per matta, quindi taglia corto: “È il Sacre du Printemps. Ora silence, se vuole altre informazioni vada dietro le quinte a chiederle a quell’altra mente geniale di Nijinsky. Del resto ci troverà anche Stravinsky, l’ho visto fuggire dietro la coulisse da quando il pubblico ha iniziato a fischiare, a cinque minuti dall’inizio”.

Stravinsky & Vaslav Nijinsky as Petrouchka, c. 1911 (Wikimedia commons)

La danza vorticosa, i colpi della musica, i fischi, Coco Chanel… Sono in uno stato di stordimento, come quando sei sbronzo ma devi assolutamente telefonare a qualcuno e sembrare sobrio. Ogni gesto diventa studiato fino all’ultimo muscolo, e per un attimo ti senti falsamente lucidissimo. Passo facilmente tutte le porte. Arrivo dietro la quinta di sinistra. Un uomo traballa su una sedia e inveisce contro i danzatori. Porta una vestaglia azzurra in broccato di seta e una calzamaglia bianca. Sembrerebbe lui stesso un ballerino. Un altro uomo coi baffetti e il frac lo trattiene. Sembra una gag di Stanlio e Ollio.

Mi avvicino per sentire il motivo dell’imprecare, e mi accorgo che non sta lanciando insulti: sta contando il tempo a gran voce.

“UNO-DUE-TRE-QUATTRO…”

La prima ballerina sul palco, che fino a quel momento era occupata a lanciarsi in attitude sgraziati in en dedans attorniata da altri ballerini vestiti da orso, sviene. Gli orsi la sollevano in un’estasi finale. Occhio di bue sul corpo. Fine dello spettacolo.

 

 

L’élue“, l’eletta.
Bozza del costume. 1913
Credits: Jean-Pierre Dalbéra (Wikimedia Commons)

 

Un altro uomo con la tuba si avvicina alla strana coppia. Ollio, che in realtà è un tipo smunto, non riesce a smettere di guardare il palco. L’uomo con la tuba si avvicina a Stanlio e gli dà un dolce bacio sulla bocca: “Sei un genio, mio adorato Vaslav”. Guarda poi il nostro Ollio: “E anche lei, Stravinsky, la sua musica è pura dinamite”.

Effettivamente l’effetto è simile a quello dell’esplosione, ma la tempesta non pare abbia portato la calma che tipicamente dovrebbe seguirla.

Il vociare del pubblico è sempre più insolente, e quando la prima ballerina sale sul palco per ricevere rose e applausi trova solo pernacchie e risa sguaiate.

Ollio, pardon, il Maestro Stravinsky, si avvicina al suo Stanlio: “La tua coreografia, mio caro Nijinsky, sarà la causa della nostra caduta. Io per lo meno ho evitato la tua di caduta, dalla sedia. Pensavi davvero che saltare sul palco e insultare questi villani incolti sarebbe stata una buona idea? Ti do atto, ad ogni modo, del fatto che nessuno era pronto ad accogliere la danza che hai creato, proprio come non lo sono ad accogliere la mia musica. Ma noi siamo dei geni. Ricordatelo bene”.

Sarà la sensazione di ebrezza, ma sono portata a filosofeggiare davanti a questo siparietto. Mi dispiace per i miei Laurel & Hardy, ma essere un genio, penso, non significa niente se non si è riconosciuti come tali. Il genio solitario che crea per sé stesso è un puro mito. Anzi, la stessa nozione di genio non esiste se non vi è un riconoscimento sociale. E io sono testimone di uno di quei momenti in cui il germe del genio è ancora in potenza. Tra qualche tempo, quando il resto del mondo sarà pronto ad accettare la novità, sarà considerato genio: gli avanguardisti diventano tali solo a posteriori. Insomma, in questo caso “geni si diventa” e le mie Cassandra, ora, si devono beccare la frutta marcia.

Se solo sapessero della mia epifania Disney…

 

Il New York Times riporta la critica negativa sullo spettacolo “Le sacre du Printemps“, che in Francia sarà soprannominato dai giornalisti “Le mas-sacre du Printemps” (Wikimedia Commons)

[Rendez-vous lunedì prossimo per la Parte 5, e lunedì scorso per la Parte 4]